La potenza di una città greca – una polis – già in epoca antica si misurava anche dal suo grado di bellezza e di ricchezza, e le vestigia architettoniche che oggi come ieri affascinano i visitatori ci testimoniano senza dubbio che Akragas fu magnifica.
La serie di templi dorici che ornano la collina meridionale furono infatti realizzati con un duplice intento: quello di meravigliare, stupire e ostentare la ricchezza dalla città, ma anche di difenderla idealmente. Gli storici definiscono infatti questo sistema “cintura sacra”, col chiaro intento di indicare una sorta di circuito sacro -composto proprio dai templi, le “dimore degli Dei”- realizzato intorno alla città col chiaro intento di rafforzarne le difese e di renderle invalicabili al nemico.
La meraviglia invece coglie chi dall’esterno e da lontano -oggi come allora- si avvicina alla città,venendo rapito dalla maestosità delle strutture sacre allineate come in una immaginaria processione.
Si scorgono infatti, partendo dal punto più elevato il Tempio di Demetra a S. Biagio, quello di Giunone, Concordia, Ercole, Zeus Olympio, Castore e Polluce ed infine Vulcano. Si tratta delle tracce più evidenti della ricchezza e dello sfarzo greco. Non vanno dimenticati i Santuari extraurbani di Asclepio, di Demetra in contrada S. Anna e gli innumerevoli sacelli dedicati alle Divinità Ctonie con altrettanti altari rituali.
A completare il campionario vanno poi citati i templi di Zeus Atabyrios e Athena Lindia sul Colle di Girgenti, probabile sede dell’acropoli.
I Templi della Collina:
Giunone
Il tempio di Hera Lacinia, noto anche come tempio di Giunone (dal nome romano della dea) o tempio D, è un tempio greco edificato nella seconda metà del V secolo a.C. (intorno al 450 a.C.) costruito in arenaria locale secondo i dettami del classicismo greco.
Si tratta di un tempio dorico periptero con 6 colonne sui lati corti (esastilo) e 13 sui fianchi, secondo un canone derivato dai modelli della madrepatria definito del “doppio più uno”; misura, allo stilobate, circa m 38,15×16,90.
Il lato breve presenta interassi leggermente diversi con la contrazione di quelli terminali e l’enfatizzazione di quello centrale. Il peristilio presenta 34 colonne alte m. 6,36 e costituite da 4 rocchi sovrapposti, poggia su un crepidoma di quattro gradini.
L’interno è costituito da un naos (cella) senza colonnato interno, del tipo doppio distilo in antis, dotato di pronao e opistodomo simmetrici. Due scale per l’ispezione alla copertura o per motivi di culto, erano presenti nella muratura di separazione tra naos e pronaos (diaframma), elemento questo tipico dell’architettura akragantina post 480 a.C.
Innanzi la fronte è possibile scorgere i resti dell’imponente altare sacrificale, di notevoli dimensioni.
Internamente alla cella è possibile scorgere i segni dell’incendio del 406 a.C. dopo il quale è stato restaurato in età romana, con la sostituzione delle originarie tegole fittili con altre marmoree e con l’aggiunta del piano inclinato alla fronte orientale.
Attualmente si conserva il colonnato settentrionale con l’epistilio e parte del fregio, mentre i colonnati sugli altri tre lati sono conservati solo parzialmente e senza architrave. Della cella rimane la parte bassa, costituita da un paio di filari di conci parallelepipedi.
L’edificio è stato così ricostruito mediante anastilosi fin dal 1787 dal Torremuzza.
Concordia
Il tempio della Concordia è un tempio greco edificato nella seconda metà del V sec. a.C. (circa il 440-430 a.C.).
La nomenclatura originale ci è ignota, ma il nome di “Tempio della Concordia” è documentato fin dai tempi dello storico siciliano Tommaso Fazello (1498-1570).
La struttura è costituita da un quadrilatero di 19,758 metri per 42,230, poco più di un doppio quadrato che occupa una superficie di mq.843,38 e sviluppa un’altezza di metri 13,481; su di esso si erge un crepidoma di quattro gradini (m 39,44×16,91) su cui poggia la peristasi composta da 6×13 colonne, alte m. 6,67 e caratterizzate da venti scanalature ed entasi verso i 2/3 (rigonfiamento nel fusto). Il tempio è orientato perfettamente in senso Est-Ovest ed è stato oggetto di studio archeoastronomico.
Al di sopra dei capitelli dorici di chiaro profilo classico scorgiamo l’epistilio, composto dal fregio di triglifi e metope lisce e cornice a mutuli; i timpani sono perfettamente conservati e in essi non erano presenti rilievi decorativi, bensì pitture che ritraevano scene mitologiche varie, oggi completamente svanite . Alla cella, preceduta da un pronao in antis, si accedeva attraverso un gradino.
La magnificenza e la perfezione dell’edificio erano accentuate dal rivestimento di stucco bianco e dalla policromia della trabeazione.
Insieme al tempio di Efesto ad Atene, è considerato il tempio dorico meglio conservato al mondo e ciò si deve a successive opere di trasformazione, non ultima la sua trasformazione in chiesa cristiana (596) che comportò anzitutto un rovesciamento dell’orientamento antico, per cui si abbatté il muro di fondo della cella, si chiusero gli intercolunni e si praticarono dodici aperture arcuate nelle pareti della cella, così da costituire le tre navate canoniche, le due laterali nella peristasi e quella centrale coincidente con la cella. Conseguentemente venne rimosso l’altare d’epoca classica e le formae quadrangolari scavate all’interno e all’esterno della chiesa si riferiscono a sepolture alto-medievali, coeve con la chiesa.
Di questa basilica – dedicata a S. Pietro e S. Paolo – non rimane più alcuna traccia poichè con lo spostamento definitivo della città sul Colle di Girgenti in epoca Normanna e con la costruzione della nuova Cattedrale dedicata a San Gerlando (1099), la struttura perse progressivamente ogni funzione cultuale. Ridotta in miseri resti dal tempo, venne completamente rimossa dall’area del tempio ad opera del Torremuzza nel 1788.